11 settembre 2010

La grande ravanata

silvanascricci

Fateci caso, esiste un nuovo contagio da cui, forse, vale la pena correre ai ripari.

Un po’ dappertutto, per strada, in moto, ai tavolini di un bar o di un ristorante è nata, da qualche tempo, una nuova categoria di persone che non stanno evidentemente bene e vengono prese da raptus tremendi.

Basta osservare.

Possono essere chiunque, babbi, nonne, signore, zii.

La malattia già identificata dagli esperti, si chiama: Grande Ravanata.

Funziona così: stai parlando con qualcuno, oppure stai guardando uno che cammina o è seduto accanto a te su una sedia, o è al semaforo su un motorino e vedi che, improvvisamente, costui ha uno scatto, un fremito e comincia a toccarsi.

Addosso, nella camicia, nel petto, nei pantaloni, davanti, dietro.

Lo fa in maniera convulsa, frenetica.

Si tasta il sedere, da una parte, dall’altra; il suo sguardo è sbarrato, il suo panico è evidente, le sue mani si muovono in maniera inconsulta, come in una crisi spastica, infilandosi nelle tasche delle camicie e dei pantaloni.

Intano, in lontananza, se tendi l’orecchio, avverti un motivetto, quasi sempre schiocchissimo, a volte il cocodè di una gallina, altre i topini di Cenerentola, a volte anche solo un brusio, un ronzio intermittente come una scarica elettrica soffocata.

La crisi può durare dai venti ai trenta secondi, ma si racconta di gente alla quale è durata di più ed è stata usata, alla fine, una camicia di forza.

Le mani, che toccano il corpo in quel modo convulso, vanno poi, nella seconda fase della crisi, a frugare dentro borse, indumenti appesi a una sedia, borselli.

E’ un movimento malato, ossessivo, come quello di un ladro che deve fare in fretta per trovare la refurtiva.

Non c’è distinzione tra uomini e donne.

Per la verità le donne si toccano meno freneticamente, il loro è quasi sempre un “ravanare” nella borsa (di qui il nome: grande ravanata) dalla quale proviene un tintinnio di chiavi, di carte; a volte fuoriescono pennelli, batufoli e matrioske di trousse.

Di solito la persona che sta accanto a chi ha la crisi si impressiona a vedere quegli scatti e chiede: “cosa c’è?”; la vittima di solito non risponde, ma prosegue come in trance agonistica il proprio tastarsi e frugare.

Poi alla fine estrae, da qualche parte, il marchingegno fatidico, nella fattispecie un cellulare, preme un tasto in maniera scomposta, avvicina il telefono all’orecchio e quasi sempre un attimo dopo sbotta con esclamazioni classiche tipo: “eh se, buonanotte!”; oppure: “ma vaffanc…”.

Oppure, in lingua indigena: “mo va a fèr dal pugnàtt”. Sentita anche, a commento del fatto che dall’altra parte del telefono non ci fosse pià nessuno, l’esclamazione: “tò surèla”; cioè “tua sorella”, che è un’interiezioni usata già in passato e lanciata a livello internazionale da Materazzi nella finale mondiale 2006.

Un altro sintomo importante di quella crisi spastica è il commento-borbottio vocale che la persona in preda alla crisi spesso pronuncia.

E’ una serie di insulti a terzi, ingiurie pesantissime, nomi, offese: “cat vegna un azidant a te, to mèdar, to pèdar, to nòn…”, eccetera.

Il male è, praticamente, incurabile e ha alcuni risvolti ancora più tristi e tragici tipo quelle persone che, nonostante la soneria si sia messa in azione da cinque minuti, rimangono immobili, attoniti, basiti.

Il motivo è semplice: i figli gliel’avevano precedentemente chiambata e non la riconoscono.

Quindi la ignorano e il loro sguardo è catatonico.

C’è allora il pietoso amico o parente seduto accanto che dice: “oh, guarda che ti sta suonando il telefono!” e lì, allora, c’è lo scatto inconsulto, gli occhi si sbarrano nel terrore, i nervi si mettono in moto e parte, implacabile, la Grande Ravanata.

Gli esperti dicono che dalla grande ravanata non si guarisce; e che può solo peggiorare.

Si parla di calmanti speciali che sarebbero allo studio, ma ancora niente di concreto.

Bzzzzzzzzzzzz. Scusate un attimo…

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