31 luglio 2010

Il tempo è un galantuomo

silvanascricci

I vecchi proverbi lo sostengono da sempre: il tempo è galantuomo.

In politica non so, nella vita reale sono quasi propensa a crederlo, almeno dopo l’altra sera.

Dopo molti diniegi mi sono convinta ad andare ad una di quelle terrificanti feste in cui si rincontrano i vecchi compagni di scuola, non quelli delle elementari o delle medie (che manco li ricordo tutti) ma quelli del liceo.

Sono incontri tristissimi, fatti di ricordi che non sai neppure se corrispondono al vero, racconti di vita abbelliti per nascondere la mediocrità del quotidiano, recriminazioni di vecchi torti mai dimenticati che risaltano fuori, nonostante gli anni passati.

Poi ci sono loro, le tue vecchie compagne di scuola, quelle che a diciotto anni erano delle stragnocche, sembravano avere quattro-cinque anni in più, erano bionde, erano alte, avevano una quarta di reggiseno e fianchi prosperosi.

Io, che dimostravo quattro-cinque anni in meno, che non ho mai, anche negli anni della crescita, superato il metro e cinquantasei, che non ero bionda, che avevo una prima di seno, che non avevo neppure un accenno di fianchi ed ero, praticamente, un asse da stiro, rosicavo.

Ora, trent’anni dopo, la loro altezza è diventata goffaggine, non sono più bionde naturali neppure loro, la quarta di seno ha ceduto il passo, ed i fianchi si sono raddoppiati.

Ora, trent’anni dopo, la mia altezza è rimasta costante ed è grazia, potrei essere, se lo volessi, bionda nello stesso modo, la mia prima di seno ha retto benissimo alla forza di gravità, e la maternità mi ha regalato i fianchi.

Ebbene sì, il tempo è un galantuomo.

30 luglio 2010

Confusioni di programma

“Ci sono rimasto male quando ho saputo che Bocchino era un deputato

e non un punto del nostro programma”

(Silvio Berlusconi)

Il berretto del papa

Benedetto XVI espone, nelle passeggiate a Castel Gandolfo, un berretto da baseball portato sulla lunga tonaca bianca.

Il fatto ha colpito l’immaginazione del Daily Mail che rileva come il papa non stia al passo con i tempi perchè il cappellino non è quello della stagione in corso.

Fosse solo per il cappello che il papa non sta al passo con i tempi…mi accontenterei.

29 luglio 2010

Fuori di qui

La presidenza della Camera non è nelle disponibilità del presidente del Consiglio…

E pensare che il premier pensava di avere anche l’uso di cucina.

Fini ha il contratto bloccato ad equo canone.

27 luglio 2010

C'era una volta

Uno dei motivi che suscita clamore, in questi giorni, nella mia città è lo stravolgimento della viabilità cittadina per i lavori di messa in opera del Civis.

Io sono contraria al Civis perchè non serve a nulla, non risolve i problemi della viabilità e neppure il problema degli spostamenti sui mezzi pubblici.

Il risultato è la deviazione di tantissime linee di autobus, via Murri chiusa per metà, in un senso di marcia, ma, soprattutto, via SanVitale chiusa al traffico tout court.

Via San Vitale chiusa ha provocato, sui quotidiani cittadini, una marea di polemiche, proteste, incazzature; leggendo i giornali trovavi commercianti sul piede di guerra, bolognesi esasperati, sit in di protesta, lenzuolate alle finestre, ecc… ecc…

Pareva, insieme all’emergenza graffiti e l’emergenza pisciate, un caso di rilevanza nazionale, degno di stravolgere gli equilibri politici dell’intero paese e di provocare una crisi di governo nazionale con tanto di prolcami terroristici di emergenza “caduta due torri” (e per chi non si scansa in tempo è fatta).

Volevo, quindi, sincerarmi di persona della situazione ed, eventualmente, dare una mano per placare animi sovraeccitati da cotanta emergenza.

Complice il fatto di essere andata in ferie presto ed essere tornata quando tutti stanno sbaraccando riesco ad uscire dal lavoro ad orari più che dignitosi, mi incammino per via Massarenti con l’animo già disposto a trovarmi in una baraonda cacofonica di protesta.

E mi ritrovo in un’atmosfera surreale di tanti anni fa.

In via S. Vitale c’è una calma assoluta; un silenzio riposante e distensivo.

Arrivano, dalle finestre aperte, le risate dei ragazzi, i suoni di musica e degli strumenti; si sentono, da sotto i portici, le discussione dei giocatori di carte nei bar; si vedono i bambini che, sotto le ombre dei collonati, giocano a pallone sul granito; osservo, all’incrocio con via Broccaindosso, alcune vecchie signore che, portate fuori di casa le sedie, chiaccherano tranquillamente con i bottegai della zona.

Immagini di una Bologna di quarant’anni fa dove, nei pomeriggi assolati e caldi, si viveva tranquilli in modo conviviale; una Bologna tranquilla, paciosa e socievole.

Un incanto.

Fino al torresotto di Piazza Aldrovandi, dove la strada riapre al traffico, dove i motorini stridono, le macchine strombazzano, la gente s’incazza e gli olezzi dei tubi di scarico riempono le volte delle logge.

Vorrei che i lavori del Civis non finissero mai e si estendessero a tutto il centro.

Meglio poco da tanti o tanto da pochi?

Meglio una botta e via da tanti

o parecchie volte da pochi?

Meglio che parlino spesso

o che tacciano?

Sto parlando del blog.

Maliziosi.

Da Bebelplatz all'Islanda

silvanascricci

Da Babelplatz all’Islanda passando per l’Italia.

Ossia dal buio e cupo rogo di libri, di conoscenza, di libertà della Germania nazista alla proposta di legge, approvata, della deputata islandese Birgitta Jonsdottir che offre uno scudo totale ai divulgatori di segreti, segreti militari, istruttori societari, di Stato, passando per il bavaglio italiano.

Nella speranza di non rivedere mai più le scene berlinesi di 30 anni fa, sperando di non vedere convertito in legge la proposta del bavaglio ai giornali e alla rete italiane, godiamoci l’aria fresca islandese.

Io non so se il parlamento islandese ha capito appieno l’effetto dirompente di una legge che prevede che qualora un documento di interesse pubblico sarà immesso in rete da un server islandese la giustizia isolana non potrà tentare di scoprire chui li ha rivelati, non potrà impedirne la pubblicazione e da lì all’intero mondo.

Ma non è finita qui: se uno stato od un privato ritenesse la pubblicazione (anche espressa nei blog) diffamante e diffamatoria e ricorresse davanti ad un tribunale estero il server islandese che ha immesso la notizia non potrà essere intimidito e potrà, a sua volta, rispondere con una contro citazione ad un tribunale dell’isola dichiarandosi vittima di una minaccia alla libertà di espressione.

Certo una bella pacca nei denti delle compagnie di assicurazione e petrolifere, al Pentagono, agli stati di polizia, alle banche e a Silvio Berlusconi.

Già oggi l’Islanda permetterebbe di aggirare i divieti di Angelino Jolie e della sua legge.

L’Islanda come le Cayman dell’informazione ed il bunker del giornalismo investigativo.

Come ha detto la deputata islandese: ” questo vuol dire modificare la storia”.

Io, tu e il cenacolo

silvanascricci

Il Cenacolo di Leonardo da Vinci è opera estremamente delicata, dall’equilibrio fragile ed è vietato fotografarla con o senza flash per evitare stress perchè le luci delle macchine da presa o i troppi flash possono causare un’eccitazione termica e rovinare il dipinto.

La sovrintendenza alle belle arti fa rare eccezioni per motivi di studio e di ricerca agli altri è tassativamente vietato; a tutti gli altri.

…Beh, non proprio a tutti.

A Berlusconi no, lui può farsi fotografare insieme a Medveded (che, poverino, ci teneva tanto) per una foto ricordo.

Io, tu ed il Cenacolo.

Io capisco che per una volta non succederà nulla, l’opera non subirà danni permanenti nè passeggeri; quello che mi infastisce è il concetto, l’esempio che si dà, la morale che se ne può trarre.

Un presidente del consiglio dovrebbe, in primis, tutelare le opere d’arte del suo paese (quelle stesse opere che pubblicizza in uno spot), dovrebbe dare il buon esempio con un comportamento corretto; dovrebbe propagare la morale che chi governa rispetta le leggi ed i regolamenti.

Ma forse, a questo punto, dovremmo avere un altro presidente, un altro parlamento, un altro governo; al che saremmo in un altro paese.

Qui vige sempre la regola del marchese del grillo: io so’ io, e , , , , , voi nu siete un c…!

26 luglio 2010

Io, tu e il cenacolo

Il Cenacolo di Leonardo da Vinci è opera estremamente delicata, dall’equilibrio fragile ed è vietato fotografarla con o senza flash per evitare stress perchè le luci delle macchine da presa o i troppi flash possono causare un’eccitazione termica e rovinare il dipinto.

La sovrintendenza alle belle arti fa rare eccezioni per motivi di studio e di ricerca agli altri è tassativamente vietato; a tutti gli altri.

…Beh, non proprio a tutti.

A Berlusconi no, lui può farsi fotografare insieme a Medveded (che, poverino, ci teneva tanto) per una foto ricordo.

Io, tu ed il Cenacolo.

Io capisco che per una volta non succederà nulla, l’opera non subirà danni permanenti nè passeggeri; quello che mi infastisce è il concetto, l’esempio che si dà, la morale che se ne può trarre.

Un presidente del consiglio dovrebbe, in primis, tutelare le opere d’arte del suo paese (quelle stesse opere che pubblicizza in uno spot), dovrebbe dare il buon esempio con un comportamento corretto; dovrebbe propagare la morale che chi governa rispetta le leggi ed i regolamenti.

Ma forse, a questo punto, dovremmo avere un altro presidente, un altro parlamento, un altro governo; al che saremmo in un altro paese.

Qui vige sempre la regola del marchese del grillo: io so’ io, e voi nu siete un c…!

25 luglio 2010

Vade retro foemina

silvanascricci

Le porte dell’Inferno non prevarranno sulla Chiesa di Pietro, come ha promesso il Vangelo, ma certo che i portieri di questa notte ecclesiale streghestanno facendo ogni sforzo per scardinare il rispetto che anche i non credenti avevano o vorrebbero avere per questa istituzione. Mettere accanto nello stesso papello dottrinale la pedofilia con le ipotesi di sacerdozio femminile è qualcosa che soltanto lo sbandamento ottuso della presente gestione della ditta e l’insopprimibile, cancerosa sessuofobia e misoginia che corrode la Chiesa (e che nel Vangelo è assente) invano mascherata da tardivi culti di Madonnine, contadinelle e pastorelle, può spiegare. A me me parono matti, ma che ne so.

24 luglio 2010

Le pupe di villa Certosa

silvanascricci

Vediamo che cosa è successo a tutta la miriade di veline, escort, grandi sorelle, piccole ninfette che hanno, vorticosamente, girato intorno al premier soprattutto negli ultimi 24-36 mesi.

Le carriere, in alcuni casi, sono state inesistenti, in altri casi pallide; ed anche quelle che sono riuscite ad entrare nei parlamenti nazionali e locali sono rimaste poco più che ectoplasmi.

Insomma si conferma che per avere visibilità vera bisogna, come in tutti i campi, essere le prime, avere il marchio del precursore; in caso contrario si è sempre, e per sempre, quelle che copiano il compito dalle compagne del primo banco.

E per loro, alla fin fine, non c’è una gran storia e, neppure, un gran guadagno.

Certo, obietterete voi, più di quello che si meritano.

Siete sicuri?

Perchè, secondo me, darla a Berlusconi dovrebbe essere remunerato come non mai.

Parafrasando una nota pubblicità: “dover andare a letto con Silvio non ha prezzo, per tutto il resto c’è Mastercard”.

Francesca Pascale (consigliere provinciale): L’ex “velina” di Telecafone, e fondatrice del club partenopeo “Silvio ci manchi” è stata eletta consigliere provinciale a Napoli, raccogliendo 7500 voti. Prima aveva lavorato nell’ufficio stampa di Forza Italia, poi con il sottosegretario Francesco Giro.

Giovanna Del Giudice (assessore provinciale): L’ex meteorina che fu già ragazza immagine del Bilionaire di Briatore, arrivata penultima nella competizione elettorale regionale della Campania è stata proposta come assessore alle pari oppurtunità della provincia di Napoli.

Noemi Letizia (diciannovenne): Il copyright “Papi” è della ragazza di Casoria, che quest’anno, dopo aver gonfiato con la chirurgia estetica labbra e seno, si è anche diplomata in ragioneria. Studia dizione e canto, e si prepara a lanciare una linea di abbigliamento e profuni sotto l’etichetta “Noemi L.”.

Barbara Montereale (ragazza immagine): Non è decollata la carriera di una delle protagoniste delle serate a Palazzo Grazioli. Ha girato una pubblicità per una catena di negozi di Bari assieme a Corrado Tedeschi e a Gigi.

Nunzia De Girolamo (deputata): La “Carfagna del Sannio” sta facendo un po’ di carriera politica. Dopo le dimissioni di Cosentino potrebbe succederli nel coordinamento del PDL campano.

Patrizia D’Addario (escort): Ha interrotto la professione che l’ha resa nota; ha scritto due libri e un piccolo tour con uno spettacolo. Gli si è pure sbloccata la pratica della licenza edilizia per costurire un residence. Quella per la quale era andata a letto con il premier.

Graziana Capone (modella): La “Angelina Jolie” di Bari, che dichiarò di essere la preferita del premier lavora assieme a Roberto Gasparotti, ex teleoperatore Finivest, che oggi è responsabile dell’immagine del premier.

Angela Sozio (ex grande sorella): Diventata celebre per essere stata sulle ginocchia del premier in Sardegna lavora, ora, per Mediaset ed è stata giurata de “la pupa e il secchione”.

Sabina Began (attrice): L’ape regina che sulla caviglia ha tatuata la frase: “l’incontro che ha cambiato la mia vita: S.B.” , ha fatto una piccola parte in “il falco e la colomba” e un’altra in un film horror. Tutte produzione di cui il pubblico non ha memoria alcuna.

Antonella Troise (attrice): La “pazza pericolosa” come la definì il Cavaliere quest’anno ha girato la fiction per canale 5 “negli occhi dell’assassino” e ha avuto una piccola parte in un’altra serie di quattro puntate.

(Le mini biografie sono tratte dal settimanale “L’Espresso”.

Ce ne sono tante di donne nella pubblicità

silvanascricci

Si è fatto molto rumore sulla pubblicità dei pannelli solari Cauldron, tanto da dover ritirare i cartelloni dal mercato (anche se si vedono ancora in giro), ma è un poco il canto del cigno perchè non è il solo ad utilizzare il corpo della donna con ammiccamenti e richiami sessuali per vendere un prodotto che niente ha a che vedere con il sesso e zone limitrofe.

Guardate anche questi manifesti per cui nessuno ha detto nulla.

Forza pubblicitari, se siete riusciti a spegnere un incendio del bosco con una scoreggia di scoiattolo significa che di fantasia ne avete, usatela meglio!

A New York il caldo è clandestino

silvanascricci

Avranno anche tutto ma gli manca il “soccia che caldo”. Anche se è un caldo boia.

Anche se la scarpa da tennis s’impanatana nell’asfalto molle e lascia l’impronta come sul marciapiede di Los Angeles, quello delle star.

Solo che intorno non c’è la stella e non ci puoi mettere il nome perchè si mescolerebbe con le cicche pestate e qualche biglietto della metro fossilizzato da anni.

A New York, in estate, c’è un caldo che è quasi comico dal gran che è caldo. Eppure nessuno lo dice.

Se entri in un negozio non succede come da noi a Bologna dove scatta subito la parola d’ordine: “oggi è peggio di ieri, eh signora?”.

Oppure: “ha sentito che roba oggi? e poi dicono che domani è peggio”.

New York produce un caldo che non ce lo sognamo neanche ma tira dritto e se ne frega, come di tante altre cose.

Nessuno, in un negozio, ti dirà mai che è caldo.

Neanche un taxista.

Anche se attaccano discorso molto di più che in via Rizzoli o sotto la Galleria.

How are you? come sta?, da dove viene? anch’io avevo un nonno italiano, eccetera.

Ma il tema del caldo, che noi usiamo come pretesto iniziale di qualsiasi bottone, viene ignorato.

Anche perchè a NY, a differenza di Bologna, esiste la famosa “pacca”. La nemica numero uno del caldo.

The dark side of the chèld. La pacca è quella che prendi se entri in qualsiasi supermercato, negozio, store, banca o locale al chiuso.

L’aria condizionata a NY, posto dove tutto è più grande, è maestosa, imponente; nel senso che si passa da 40 gradi appiccicosi di un marciapiede a -3. Forse non a -3, ma la sensazione è quella.

L’italiano lo riconosci perchè appena mette piede in un posto al chiuso si blocca per un attimo, come incenerito.

E se è bolognese dice: “Soccia!” fra i denti. E’ perchè ha preso la pacca. La nemica numero uno del caldo.

New York è fatta di grattacieli e di ghiacciaie in cui entri ed esci con apparente disinvoltura.

Loro sono abituati ma noi no ed il sudore sul collo o sulla schiena subisce quell’immediato congelamento che è appunto caratteristico della pacca.

Se avessimo noi quell’aria condizionata a manetta, diventerebbe subito un motivo di dialogo: “ha sentito che aria condizionata stamattina?”, “ohi, e poi han detto che domani è peggio”.

Come fosse una condizione ambientale.

A NY gli americani, che sono comunque dei fanatici del meteo (ma solo in funzione del sabato e domenica) non parlano del caldo e nemmeno del freddo.

Vanno veloci.

Non hanno la cultura della chiacchera da negozio.

Non c’è la bottega, non c’è il tempo, c’è solo il verbo brulicare.

Io brulico, tu brulichi, egli brulica; si brulica senza commentare.

Noi sentiamo nei negozi frasi tipo: “a Ozzano hanno detto che ci sono 42 gradi”; là non si sentirà mai dire: “han detto che nel New Jersy gli suda la lingua in bocca” che sarebbe “I sweat the language in mouth”.

Oppure “nel Bronx nevica, ho visto le macchine con il bianco sopra”, come facciamo noi riferiti a Loiano (a Loiano nevica, è un classico).

Per difendersi dalla pacca, comunque, l’unica cosa da fare è andare in giro, mentre ci sono 40 gradi, con un loden e appena entri in un posto te lo infili insieme ad una cuffia.

Va che la sta gòba l’aria condizionè!

19 luglio 2010

La magnifica ossessione

silvanascricci

Un serpeggiante dubbio comincia ad insinuarsi nelle menti maschili di una certa età, soprattutto in quella del presidente del consiglio.

Sarò mica impotente?

Ecco, secondo me, in questo caso, la risposta è sì.

Quando uno comincia a parlare ossessivamente di belle ragazze, di donne, di sesso, in continuazione mi viene da pensare che non ne fa poi molto, e che di belle donne, alla fin fine, ne tocca veramente poche.

Si parla spesso di ciò che interessa, si parla sempre di ciò che non si ha.

Inoltre il nostro PdC parla spesso di Rosy Bindi, anche qui una sorta di ossessione.

Non ne sarà mica, segretamente innamorato?

E chi disprezza, compra.

18 luglio 2010

Addio. Ma è stato per amore, solo per amore

silvanascricci

Sto tergiversando da due giorni, sto scrivendo di tutto, dalle divertenti situazioni marine alle tragiche e assurde situazioni italiane per non parlare di una cosa che da due giorni mi sta sullo stomaco.

Ciò che mi sta sul gozzo non è particolarmente importante, non interessa la nazione, non crea problemi, nè disoccupazione e tanto meno buchi nel bilancio statale.

Eppure, eppure…

Ieri mattina, leggendo il giornale, mentre facevo colazione ho letto sul quotidiano la notizia che sapevo già sarebbe arrivata, me la aspettavo da una settimana, ma trovarmela scritta nero su bianco mi ha fatto male all’anima.

E non mi vergogno di dire che, mentre leggevo l’articolo, mi è scesa una lacrima nascosta dagli occhiali neri.

Mi è tornata in mente la mia giovinezza, mi è tornata in mente la spensieratezza degli anni, mi sono tornati in mente gli attimi con mia figlia al seno, mi sono tornate in mente le notti passate in sacco a pelo a ridere e scherzare.

Mi sono tornate in mente le migliaia di chilometri con tutti i mezzi possibili ed immaginabili purchè muniti di quattro ruote ed un volante.

Mi sono tornate in mente tutti i posti che ho visto nelle calure primaverili spagnole, nei gelidi inverni sovietici, nelle montagne francesi, nelle scintillanti capitali europee, negli sperduti paesini dei Pirenei, nella dura realtà basca, nella densa paura di Tel Aviv.

Mi sono tornati in mente i giorni bui, di rabbia e di magone ingoiati come rospi che andavano di traverso.

Mi sono tornati in mente i visi, le lacrime, le urla e gli abbracci di tanta gente, di tante anime.

Mi sono tornate in mente le ferite sanguinanti di Gary, le sue canzoni assurde che facevano sorridere, le sue mani grandi ed il suo sorriso dolce unito ad il ghigno feroce di quando subiva un’ingiustizia.

Mi sono tornate in mente le parole di Teo, quelle scuse sussurate a tutti noi con l’umiltà di un dolore non dovuto, i suoi tuffi per recuperare ciò che era irrimediabilmente perso.

Mi è tornato in mente l’arrivo di uno sceicco abbronzato che mi ha portato, per un po’ di tempo, la speranza, la gioia, l’illusione, l’emozione dell’arrivo per poi andarsene correndo dietro ad un’altra odalisca.

Ma gli amori, a volte, se ne vanno anche quando hai cercato di tenerli stretti fino a farti male le braccia, se ne vanno anche quando li hai pagati fino all’ultimo, se ne vanno anche quando gli hai urlato di restare.

Non so se questo mio amore tornerà mai, dovesse tornare non sarà più quello di una volta, non avrà mai più il volto antico ed orgoglioso, non avrà mai più lo spirito indomito e battagliero, non avrà mai più le ferite delle battaglie, non avrà mai più il sapore della sfida contro il destino ed il mondo

Addio a Gary, a Teo, a Leon, ad Andrea, a Giacomo, a Vincenzo, al Lungo e a tutti quelli che insieme a me hanno gioito, pianto, urlato, bestemmiato e tanto, tanto, amato.

Addio F.

(se non avete capito a chi sto dicendo addio, quale amore mi ha lasciato, potete andare a vedere qui e qui)

Nuovi eroi

silvanascricci

Se Jocker diventa eroe, è ovvio che Superman sia il criminale.

Se Mangano diventa eroe, è ovvio che Falcone e Borsellino siano i criminali.

E non si ergono statue ai criminali.

A Palermo hanno posto rimedio.

17 luglio 2010

Al mare impazza il rito della passerella

Benvenuti alle sfilate di moda mare dei poveri.

Non nella cornice di capo Palinuro nè del teatro greco di Taormina, ma sulle passerelle delle nostre spiagge, fra Riccione e Rimini, fra Cesenatico e Milano Marittima.

Quelle di cemento, che affiorano dalla sabbia, a quadrettoni a volte colorati e che servono per andare dall’ombrellone al bar e dal bar all’ombrellone.

Piccoli nastri roventi su cui si possono guocere alla griglia piedi maldestramente nudi e dove sciabattano ciabatte, zoccolano zoccoli, tacchettano tacchi, zigzagano zeppe.

La passerella per l’alta spiaggia (come l’alta moda) è un girone infernale, severo e implacabile.

Viene solcato da alcune categorie che andiamo ad elencare:

1 – gruppetti di giovani assatanati, arrivati da tre ore di coda in auto, che, indossato il costume in 10 secondi netti, ingaggiano una furibonda corsa verso l’acqua per l’entrata a bomba.

Di solito urlano sguaiatamente (Andreaaaaa! vieni qui, sfigheeee!) ma di solito cadono anche pestando la ciabatta di quello davanti e finiscono al pronto soccorso vanificando il week-end.

Il vecchio pensionato con la moglie dall’ombrellone commenta: “Fora l’ésen!”.

2 – Bagnini, conoscitori delle insidie della passerella, che percorrono con passo da piccione, mandando avanti ed indietro il collo ritmicamente e strisciando sapientemente il piede calloso sul cemento arroventato.

Alle svedesi son sempre piaciuti. E’ che le svedesi non vengono più.

3 – Bambini che corricchiano in slalom salendo e scendendo dalla passerella con secchielli d’acqua pieni, ma che nell’andare su e giù dalla passerella medesima, ne urtano il bordo dentato con l’alluce che subito sanguina copiosamente.

Pronto soccorso.

In coda coi ragazzi della bomba.

4 – Gente inspiegabilmente vestita come fosse ad un sopralluogo della campagna d’Africa.

Sono, di solito, i mariti arrivati da Bologna a trovare la famiglia nel week end.

Arrrivano in spiaggia con passo lento, distaccato, esaminando le truppe, con camice, pantaloni, a volte giacche, scarpe con calzino.

Dopo la passerella affondano nella sabbia e quella sabbia lì se la porteranno poi dietro per giorni e giorni.

5 – Squinzie di dodici anni con perizomi e mini vestitini (non si azzarderebbe a metterli neppure Shakira) che bisbigliano, lanciano occhiate, parlano con la mano davanti alla bocca, emettono squittii e gridolini e risatine all’indirizzo di chissà chi.

E’ l’età.

Il destinatario di quelle attenzioni, cioè il “presunto” figo della spiaggia, solitamente sta dormendo sul lettino e se ne scazza.

6 – Donne, di solito madri di scatenati pargoli, che preparano la sfilata nei minimi dettagli.

Sotto l’ombrellone impiegano dai venti ai venticinque minuti (intanto il bambino ha chiesto da bere e può morire disidratato) a sistemare il pareo, a controllare il trucco, a sistemare la bandana sui capelli, ad infilare l’occhiale da sole giusto.

Poi partono sui tacchi vertiginosi messi apposta per attirare l’attenzione di tutta la spiaggia per via del rumore che provocano sulla passerella di cemento, un rumore simile a Varenne quando lo tiravano fuori dalla stalla prima di una corsa.

Il loro deambulare e ondeggiare fa paura tanto che qualche bagnino mette subito la bandiera rossa.

Arrivano al bar a stento, sapendo di essere state fulminate da centinaia di sguardi di gente fintamente ignara, alle prese con lettura di giornali e libri, ma occhieggiante da sotto l’ombrellone o da sopra il quotidiano a mo’ di agente segreto (l’occhio della donna apparentemente addormentata a pancia in giù sul lettino si socchiude a metà attirato da quel trapestare sinistro).

Il pensionato con la moglie commenta così: “qualla lè l’a n’arriva brisa a sira, la casca premma”.

Con la moglie che ribatte: “mo xa stet lè a guardér, cretén”.

E lui si rituffa nel giornale, facendo finta di non guardare più.

Bersani versus Obama

Negli Stati Uniti crolla la popolarità di Obama.

Primi effetti della presenza di Bersani a New York?

15 luglio 2010

Cretina

Oggi nel bellissimo e sempre interessante blog di Lameduck ho trovato un post che si riallaccia a quanto dicevo a proposito della violenza sulle donne.

Tale Paolo Barnard, che in fatto di misoginia fa il paio con Massimo Fini, ci dà esplicitamente delle cretine ogni volta che non gliela diamo o non ringraziamo per un complimento ricevuto per strada.

Ma il peggio non è tanto l’insulto per non avere risposto cortesemente alle sue avance quanto piuttosto la chiosa porta-sfiga o intimidatoria con cui chiude il suo post.

Mi inquieta sapere che per le vie della mia città si aggirano siffatti personaggi.

Questo è il post scritto dal suddetto cavaliere:

Un cane che si morde la coda

Percorro in bicicletta una via di Bologna sotto un portico, e scorgo una silhouette femminile strepitosa. Come mi avvicino, realizzo ancor di più la bellezza di quelle forme, una vera grazia. Se ne sta in attesa da sola, avrà una trentina d’anni, io le sfilo di fianco e ammiro. Dentro un maschio sessualmente sano, e sano di mente, in quei momenti accadono due penosissime cose: prima cosa, ti dici “ma perché non posso semplicemente premere un bottone e ritrovarmi abbracciato a quella meraviglia ora, subito, baciarla e fare l’amore, Dio mio!”, e te la prendi un po’ con la crudeltà della natura che ci ha fatti così maledettamente innamorati delle donne, del loro odore, di come sanno toccarti, quando poi quell’oggetto/soggetto di desiderio è così difficile da raggiungere pur essendo così frequente da incontrare. Un po’ come fossimo tutti, noi maschi, appassionati di sonate romantiche, e a ogni angolo di strada udissimo le note di un notturno di Chopin, per poi dover accelerare via e perderci subito nell’ignobile fracasso del traffico. Un tormento.

La seconda cosa che capita è ancor peggiore: veniamo assaliti dal dubbio se tornare indietro e ‘provarci’ o meno. Perché in fondo al nostro cervello parte un nastro odioso che recita “ogni lasciata è persa… se non provi non saprai mai… magari nasce una gran storia, e ricorderete quella volta che tu l’hai abbordata e lei sorridendo ammetterà ‘… grazie a Dio tornasti indietro quel giorno, se no non saremmo qui’…”. Il dubbio… quel maledetto dubbio: “Cosa faccio? Proseguo o ci provo? Nooo, dai per favore, non ne ho voglia, poi tanto non funziona, no! zero, basta… Però… e se?”. La posta in palio è alta, credetemi, specialmente se almeno una volta nella vita ti è accaduto esattamente quello che recita il sopraccitato nastro, e a me è accaduto eccome, con conseguenze indimenticabili… e se? Sono minuti spiacevoli, già una certa emozione serpeggia nelle vene, che diventa poi una sfida con se stessi.

Mi fermo e mi giro. E’ sempre là, sempre quelle linee strepitose che sembrano galleggiare, non sostare. Cosa fai Barnard? Risposta: provarci no, ma dirle che mi ha donato minuti di ricchezza estetica sì, è troppo bella, le farò tutti i miei più sinceri complimenti. E poi uno che ha scritto ‘Sono andato a puttane’ deve verificare una certa cosa, ancora una volta, dunque la sfida è doppia. Torno sui miei passi, sono da lei in un battibaleno, mi fermo con un sorriso e mi aggancio ai suoi occhi, lei ai miei, le dico “sono tornato da te per dirti quanto apprezzo la tua bellezza, solo questo”.

Vedete donne, a quel punto il tempo si ferma, lo spazio svanisce, ogni cosa da lì in poi è come se fosse vissuta da noi uomini dilatata di mille unità, e noi registriamo nella coscienza ogni fotogramma a seguire, che va a stamparsi su una pellicola sensibilissima con un’esposizione altissima. Siamo esposti, nudi, vulnerabili e reattivi come le rane di Galvani, siamo senza pelle e coi nervi all’aria. Preghiamo solo che il vostro specillo non ci tocchi là dove il dolore sarebbe fulmineo.

La donna sotto al portico aspetta la fine delle mie parole, si gira sui tacchi e muove un passo via da me, muta, neppure uno sguardo. Penso “non ho scritto ’Sono andato a puttane’ per nulla, ci risiamo”. C’era il sole, ora grandina, sto per mandarla a cagare, ma in un moto di civismo che non merita le do una seconda chance: “Era solo un complimento, non fa piacere?” le dico. Muove altri due passi dandomi le spalle, guarda laggiù chissà che cosa di più interessante di un uomo che è cortese al punto di omaggiare la sua bellezza. Tutto questo si realizza nella metà di secondo che ci metto ad esprimere la sintesi appropriata, e quando ancora la ‘ere’ di “non ti fa piacere?” è nell’aria le sibilo “Cretina”, e me ne vado. Lei si gira, con la coda dell’occhio colgo i suoi occhi vacui e mi chiedo cosa stia accadendo in quel cervello.
Già, donne, cosa accade nel vostro cervello quando così tipicamente produce resina bi-componente invece che esprimersi? Lasciatemi essere franco, perché la sensazione è proprio che così come le aree cerebrali producono adrenalina, serotonina, o altre sostanze deputate a stimolare l’attività psico-motoria, in quelle particolari situazioni un gran numero di voi produca resina che vi cristallizza le facoltà dell’espressione, per cui volenti o nolenti non sapete fare altro che impalarvi. Ed è un disastro. Un uomo vi si presenta con l’abito della festa, voi sollevate la zampetta posteriore e gli fate una spruzzatina di pipì sulle scarpe. Ma perché? Accade una quantità di volte incalcolabile e ogni volta una vescicola di bile si deposita nel fondo dell’uomo. E siete cretine senza attenuanti, perché non vale qui fare una digressione se mai si trattava di insicurezza, di timore o di semplice idiozia arrogante, come non vale disquisire se quello che è passato col rosso e ti ha falciato correva per necessità o per arrivare in tempo alla partita: semplicemente non si fa. E voi lo fate di regola, spesso sapendo di sbagliare, ma è più forte di voi. Non è una banalità, è un dramma, poiché purtroppo in una società dove la donna siede dalla parte ricevente, quasi ogni singolo approccio maschio femmina deve per forza passare da quelle Forche Caudine, per cui l’ammontare delle smusate finali che un uomo accumula in una vita è intollerabile. Finiamo sovente a odiarvi per questo, anche perché siamo obbligati per necessità a quelle pene. E’ un po’ come se ci capitasse che all’atto di ingerire cibo, spessissimo ci arrivasse una sberla nella nuca, ma non puoi fare a meno di mangiare.

Ripeto, alla fine la pagate cara. Infatti è comprensibile come poi il maschio medio, troppo spesso sprovvisto di un arsenale adeguato di autostima, si ingegni per neutralizzare anticipatamente la smusata, lo specillo proprio su quel nervo vivo. Tipicamente vi si approccerà con arroganza preventiva, con offensività preventiva – e qui il ‘preventiva’ è la chiave di comprensione del fenomeno – come dire: sono rimasto scottato, ma stavolta te lo stampo io il ferro da stiro in faccia prima ancora che tu dica beo, tanto per stare dalla parte dei bottoni. Ed è così che accade, fidatevi. Questo si traduce in una quantità colossale di brutali relazioni all’impronta del cane che si morde la coda. Noi, voi, voi, noi, l’insicurezza mia cozza con la tua, la tua ferisce la mia, la mia ferirà la tua, all’infinito. Idiozia, spreco, tristezza. Se ieri un ragazzo ti ha abbordata dicendo “ciao, hai nove settimane e mezzo libere?” sghignazzando con gli amici, e se tu hai pensato “ma fottiti idiota”, stai certa che quell’uomo è prima passato per non so quante belle silhouette che a fronte di un complimento cortese hanno sollevato la zampetta e gli hanno fatto pipì sulle scarpe delle festa.

Donne, meglio che a fronte di un tizio in bicicletta che torna indietro perché siete troppo sexy per proseguire, vi scorra un “grazie, sei carino” nelle vene fino alla lingua, piuttosto che resina. Vi conviene, sempre, fidatevi.

14 luglio 2010

Stato laico e stato clericale

Il parlamento francese ha approvato, con un solo voto contrario, il divieto di indossare il burqa e il niqab.

Sono perfettamente d’accordo con la decisione transalpina, non mi piace la negazione del corpo delle donne, la negazione dell’esistenza stessa della donna come entità corporale, politica e culturale che tali vestimenti presupppongono.

D’altronde non mi piace, in egual misura, l’estremo opposto della nostra cultura occidentale, ed italiana in particolare, l’esposizione mercantile del corpo nudo o meramente spogliato delle donne; ci vedo la stessa ragione di base: la negazione del corpo.

Tornando alla questione di partenza mi sono chiesta perchè in Francia è possibile l’approvazione di una tale legge mentre nel nostro paese sarebbe imparaticabile.

Non si tratta, tanto, del fatto che da noi ci sarebbero veti incrociati dettati da presunte libertà di religione o da guerre politiche che nulla avrebbero a che vedere con la question.

Si tratta, secondo me, di laicità dello stato.

Si vieta l’esposizione di qualsiasi simbolo religioso; da quelli islamici, a quelli cattolici passando per gli ebraici, i buddisti e quant’altro si voglia nei pubblici uffici.

Si ribadisce il concetto di laicità dello stato che deve appartenere a tutti i componenti la comunità, senza escluderne nessuno.

Si fa un’inclusione dei cittadini anzichè una loro esclusione; ma per fare tutto ciò è necessaria una coscienza di stato, una forte percezione della nazione di cittadinanza che noi non possediamo.

I valori religiosi di ognuno si ribadiscono se non se ne accetta, in particolare, nessuno.

13 luglio 2010

La doppia vita di Marilyn.

Eterno femminino condannata all’immortalità e alla fissità.

Da un punto di vista clinico, il libro autobiografico di Marilyn Monroe è il perfetto ritratto di una schizofrenica.

Lucidamente consapevole di essere divisa in due.

Da un lato c’è la stella del cinema, oggetto perenne di attenzione maschile e “paura sessuale femminile” (definizione della stessa Marilyn); dall’altra indicata sempre con il vero nome di battesimo, c’è Norma Jane, la bambina vissuta in ben nove famiglie affidatarie, affamata di cibo e d’amore.

“Un fenomeno da circo”, “un ninnolo smarrito”, “un gatto randiagio”: lei si descrive così, in un misto di pietà e rabbia sottile.
Ma La mia storia, pubblicato solo adesso in Itlia non è solo la testimonianza in presa diretta della doppia vita dell’attrice.

E’ un’analisi spietata su Hollywood, “un posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima”; è un percorso che attraversa passaggi clou della storia americana, dalla seconda guerra mondiale al maccartismo; ed è un racconto che contiene un’inquietante autoprofezia: “avevo qualcosa di speciale e sapevo cos’era. Ero il tipo di ragazza che trovano morta in una camera da letto con un flacone vuoto di sonnifero in mano”.

Pubblicato in America nel 1974 e poi di nuovo nel 2000, corredato da 47 immagini (alcune inedite) il libro raccoglie le confidenze che la Monroe dettò, negli anni cinquanta, ad gostwriter di lusso, l’autore di commedie teatrali e di scenografie come Notorius e A qualcuno piace caldo: Ben Hect.

Una presenza discreta, la sua.

Anche se certe immagini raffinate tradiscono la mediazioni di uno specialista: quando ad esempio la Monroe descrive la sua iniziale “mancanza di talento come un abito scadente che indossavo dentro”, il contributo di uno scrittore si sente.
Resta però lei la protagonista assoluta.

Soggetto attivo della narrazione, e non semplice oggetto, come nella decina di titoli che le sono stati dedicati.
Hollywood è la grande protagonista della Mia storia; anche l’attrice non attacca mai direttamente, con nomi e cognomi, i pezzi grossi del cinema.

Alla faida stile Eva contro Eva con Joan Crawford, però, è dedicato un intero capitolo: “mi suggerirono di perdonare una donna che un tempo era stata giovane e seducente”, chiosa lei con sottile perfidia.

Eppure l’autobiografia, anche nelle piccole furbizie o reticenze, trasuda verità.

Non solo descrivendo meccanismi dello showbiz ancora attualissimi – con cui ad esempio un vecchio calendario senza veli trasforma la stellina emergente Marilyn in superstar.

Ma anche raccontando un’infanzia durissima: orfanatrofio, madre in manicomio, padre inesistente, girandola di famiglie affidatarie.
La Monroe ripete più volte di non voler dimenticare il passato: “questa bambina triste e amareggiata, cresciuta troppo in fretta, difficilmente uscirà dal mio cuore. Nonostante tutto questo successo, posso avvertire i suoi occhi spaventati che si affacciano dai miei”.

C’è poi il capitolo amori.

Su cui l’attrice è abbastanza abbottonata.

Con un’unica eccezione: Joe DiMaggio.

L’entusiasmo con cui ne parla è legato al fatto che le sue conversazioni con Ben Hecht coincidono col matrimonio con il campione di baseball.

Nessun accenno – come ovvio – ai membri del clan Kennedy che negli anni seguenti l’avrebbero conosciuta molto da vicino: nè JFK, nè Bobby, che in seguito molti accuseranno di essere coinvolto nella sua scomparsa, archiviata come probabile suicidio.

Ma inoltre alla Mia storia esiste anche un’altra testimonianza diretta, in cui l’attrice parla di sè senza filtri.

E’ il docufilm Marilyn dernières sèances, diretto da Patrick Jeudy, tratto dal libro Marilyn, gli ultimi giorni di Michel Schneider, passato recentemente al Biografilm Festival di Bologna.

E in cui si possono ascoltare i famosi nastri audio dei colloqui tra la star e lo psicoanalista hollywoodiano Ralph Greenson.

I due erano legati da un rapporto morboso: lui fu a vederla a vederla viva e il primo a trovarla senza vita, ed è stato sempre sospettato di essere implicato nella sua fine.

Nelle registrazioni, mai autenticate ufficialmente, si sente la voce stentata, sottile e disperata della donna che di lì a poco sarebbe morta: “vorrei scomparire nell’immagine, e fuori dall’immagine…”.

Ti amo da morire, anzi da ammazzarti

Si chiamano Michelina, Eleonora, Maria, Sonia, Debora, Simona, Chiara; ma potrebbero chiamarsi Francesca, Claudia, Patrizia, Lorena, Antonia, Paola.

Hanno 17, 16, 30, 45 anni; ma potrebbero averne 25, 40, 60, 70 anni.

Sono impiegate, commesse, bancarie, parrucchiere; ma potrebbero essere avvocati, giornaliste, casalinghe, commercianti.

Sono donne normali, comuni, semplici; ma potrebbero essere sante o puttane, martiri o terroriste.

Non ha nessuna importanza; sono donne.

E sono morte; sono morte non per le tante causalità che la vita pone davanti, malattie, incidenti; sono morte ammazzate, ammazzate da conoscenti, fidanzati, mariti.

Morte assassinate perchè hanno detto no.

No ad un bacio, no ad una avance, no ad una relazione; semplicemente no ad un uomo.

Quegli uomini che non sono più capaci di accettare un rifiuto, un diniego, una storia che finisce.

Ma non diciamo che sono morte d’amore; perchè l’amore in queste storie non c’entra nulla, non esiste, non c’è.

Quello che è costantemente presente è il possesso, la proprietà, il dominio dell’altro.

Non parliamo di malattia e disagio mentale, non è sufficiente a spiegare un fenomeno che, oggi, forse, sta subendo un’impennata ma che è costantemente presente da anni; parliamo piuttosto della realtà dell’altra metà del cielo.

Un disagio maschile che nasce da un ritorno della figura femminile vista e raccontata come cosa di cui si può disporre; come carne da macello da mangiucchiare, sbocconcellare e poi buttare.

Ma l’immagine creata, voluta, agognata non corrisponde alla realtà delle donne, le donne che oggi non sono più costrette a subire, nel nome sacro della famiglia e nell’esigenza economica del quotidiano, una relazione; ad avere mariti, compagni, amanti se questi non le soddisfano più, non corrispondono più a ciò che cercano e vogliono.

Ma questo manda in tilt i processi cerebrali e culturali di moltissimi uomini; li sconcerta l’incorrispondenza al modello; li disorienta la possibilità del confronto; e, privi di mezzi di difesa uccidono.

Sono donne morte per sogni, per aspirazioni, per esigenze in cui loro non sono più presenti, a cui non partecipano più.

Sono uomini che non sono stati colti dal famoso, e che tutto giustifica, raptus; sono uomini che hanno scientemente, costantemente, volontariamente perseguitato le loro propietà per mesi ed anni, nell’assoluta indifferenza od impotenza delle forze dell’ordine.

Perchè non è di questo tipo di criminalità che si ha paura, non è questa l’emergenza sicurezza di cui si va cianciando da anni e con cui si vincono le elezioni.

L’orco non viene sempre da lontano, spesso, sempre più spesso è presente proprio nella cerchia degli affetti, delle amicalità, delle conoscenze.

Le donne muoiono perchè ci sono baci che annientano e portano al coltello, al collo, alla pistola.

Il principe azzurro non è mai esistito, ma oggi, sicuramente e sempre di più, esiste il principe rosso.

Sangue.

7 luglio 2010

Un abbraccio ed un a-riscriverci al 26 luglio

Capisco che aprire un nuovo blog ed andare subito in vacanza non sia il massimo, però... siate comprensivi.

Ciaoooooooooooooooooooooooo!

6 luglio 2010

Il polipo antigovernativo



Provate ad immaginare se il polipo Paul, salito agli altari delle cronache con i recenti mondiali di calcio, vivesse in un acquario italiano e si fosse messo in testa di pronosticare i risultati elettorali o si fosse deciso a valutare con un sì o con un no le proposte di legge ed i risultati dei vari processi.

Ad ogni verdetto sfavorevole al PdC si sarebbero sentiti cori di insulti nei confronti del polipo comunista, del polipo manovrato dalla sinistra, al polipo carico di odio nei confronti del partito dell'amore.

Sarebbe stato uno spasso.

Ma non sarebbe durato a lungo.

Non potendo comprarlo, lusingarlo, minacciarlo sarebbero passati direttamente alle vie di fatto.

Una lessatina in acqua bollente e poi via in un bel contorno di piselli.

E non è neppure detto che non accada al Paul tedesco, che ha pronosticato, per la disperazione germanica, la Spagna in finale della coppa del mondo.

Però, almeno loro, aspetteranno il risultato finale.

Fenomenologia della mutanda

Stavo leggendo qualche tempo fa un blog che parla di sesso in una maniera molto particolare; divertente, ironico, leggero ed intelligente.
Trattava della varietà estrema di mutande esistenti in commercio e, conseguentemente, nei cassetti delle donne.

Perizoma, brasiliane, culotte, alte in vita, a vita bassa, con trine e pizzi, di cotone, di seta; da utilizzarsi secondo umore e situazione.

Non avevo mai preso in considerazione la faccenda e mi sono trovata a pensare al mio cassetto di biancheria intima.

Possiedo solo mutande di cotone, niente brasiliane, niente culotte (che non puoi portare con i pantaloni), niente merletti e trine (che procurano un prurito insostenibile), e, soprattutto, niente perizoma (che sono la scomodità fatta mutanda, con quel filetto che ti si infila sempre tra le natiche).

Le mie mutande sono tutte nere e bianche, con qualche concessione al grigio, in cotone elasticizzaato senza cuciture (stile Pompea).

Vorrà dire qualcosa?

Significherà che sono senza mezze misure (bianco o nero)?

Significherà che sono diretta e poco intrigante (niente pizzi e trine)?

Significherà che sono pratica e concreta (senza cuciture ed elasticizzate)?

Significherà che sono amante delle comodità (niente culotte perizoma)?

O starà a significare che sono, irrimediabilmente, noiosa?

Dimmi che mutande possiedi e ti dirò chi sei.

5 luglio 2010

La puzza sotto il naso di certi blogger

Tengo blog da 2 anni 3 mesi e 3 giorni (non questo che nuovo nuovo ma quest'altro http://silvanascricci.wordpress.com)

Ho visto crescere questa "creatura" che volevo strozzare in culla.

Ho un numero di visite giornaliere che si mantiene costante, con tendenza al lieve aumento.

Ho qualche richiesta di collaborazione.

Cerco, nel limite del possibile (leggi: avere una vita non virtuale), di rispondere a tutti coloro che mi mandano messaggi e di visitare i blog degli amici e di coloro che mi linkano.

Io capisco la difficoltà per chi ha tanti messaggi di essere pronti a dare risposta a tutti (in certi momenti rasenta la professione), capisco la quantità di tempo che occorre per dare un'occhiata a tutti coloro che ti sono passati a trovare, che hanno lasciato una traccia di sè nella blogosfera.

Capisco, perfettamente, tutto ciò.

Quello che invece non capisco è la puzza sotto il naso di taluni blogger; e non dico quelli più famosi, quelli che hanno decine di migliaia di visite al giorno, quelli che ricevono centinaia e centinaia di messaggi giornalieri.

Sto parlando di quelli che sono soltanto un gradino sopra la media, quelli che hanno una media notorietà, quelli che non rispondono neppure se li ammazzano (a meno che non si appartenga alla loro cerchia, o che non si sia di quelli di grido), quelli che scrivono post sugli inviti ricevuti per convegni che trattano di web (e puntualizzano che si tratta di un racconto ironico dedicato solo a quelli che possiedono il senso dell'umorismo).

Parlo insomma di quelli che si sono montati la testa; di quelli che "vorrei ma non posso ancora del tutto".

Quelli che sono anche piuttosto bravi ma, sempre, con l'aria dei primi della classe, della maestrina dalla penna rossa, di quelli che sanno sempre tutto e non sbagliano mai.

Quelli tendono a creare una piccola borghesia del web, molto distante, anzi distantissima dall'aristocrazia internettiana e poco distante dal proletariato con il quale non vogliono più assolutamente avere a che fare; da cui non vogliono assolutamente dire di provenire e con il quale non vogliono più avere alcuna parentela.

Insomma come dice un vecchio proverbio veneziano: "Quando la m…. monta in scagno o che fa puza o che fa dano”.

P.S. che nessuno adesso tiri fuori la vecchia storia berlusconiana dell'invidia; la mia era un'analisi, quasi sociologica, di un fenomeno che noto.

2 luglio 2010

Ma quelli che votano PDL sanno che leggi ha fatto Berlusconi?

Io qualche dubbio ce l'ho.

Confondono la Cirami con la Cirelli, sempre che sappiano che esistono, non sanno assolutamente di cosa parla il lodo Alfano.

Il massimo è la dichiarazione: "se l'opposizione fa opposizione sull'ondata della protesta noi non possiamo proporre leggi serie"!

Insomma non sanno assolutamente cosa votano e perchè!

1 luglio 2010

Non ci sono più soldati semplici

Da qualunque parte la si guardi i conti non tornano.

Intendo parlare dei dirigenti.

Dal dizionario: chi dirige, chi ha funzioni direttive

Da wikipedia: il dirigente è il lavoratore preposto alla direzione di un'azienda pubblica o privata,oppure di una parte di essa, che esplica le sue funzioni con autonomia decisionale, al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi aziendali. Il dirigente così inteso, pertanto, svolge tipicamente funzioni manageriali

Dalla giurisprudenza: nella pubblica amministrazione italiana un dirigente è un lavoratore dipendente dello stato o altro ente pubblico incaricato di dirigere un ufficio, anche di notevole complessità, assumendo le capacità e i poteri del privato datore di lavoro. Ad un dirigente possono inoltre essere attribuite funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o la rappresentanza della propria amministrazione in contesti internazionali.

Da queste definizioni si darebbe per scontato e per logica che il dirigente è una figura ricoperta da un numero limitato di persone, che dirige un discreto od elevato numero di persone.

Ed invece no.

Negli ospedali, i medici ed i biologi, sono tutti dirigenti e da subito.

Anche un pirlacchero neo specializzato e neo assunto diventa, appena firma un contratto, un dirigente.

Dirigono, fondamentalmente, solo se stessi; tante teste, tanti dirigenti.

Capisco che sia la figura del responsabile di una struttura complessa (i vecchi primari) o del direttore di dipartimento ad essere inquadrato come dirigente, ma mica tutti quelli dotati di camice bianco.

E non pensiate, ingenui che siete, che dirigano gli infermieri, per quelli c'è il caposala ed il dirigente infermieristico; non pensiate che dirigano gli amministrativi perchè per quelli ci sono i coordinatori dirigenti amministrativi.

Appunto, ribadisco il concetto dirigono solamente la loro preziosissima persona, con l'arroganza e la protervia dei primi della classe, anche quando sono sempre stati gli ultimi e i più somari (anzi soprattutto quelli).

Il che, vien da dire, non richiede uno sforzo incommensurabile tale da far tremare le vene nei polsi.

Trovo giusto che io, con una laurea non medica in tasca, possa essere inquadrata anche nei ranghi più bassi senza alcuna funzione dirigenziale; mentre non trovo giusto che un medico od un biologo magari neppure tanto bravo e tanto fancazzista (e ce ne sono, affiancati anche da tantissimi altrettanto bravi e lavoratori) sia, a prescindere (come avrebbe detto Totò) immediatamente un dirigente.

Non è sempre stato così, fino ad una ventina d'anni fa il medico/biologo neo laureato entrava come semplice medico e faceva la gavetta fino ad arrivare, se bravura e baronie permettevano, a fare il primario; oggi entra da subito come dirigente e, senza fare la gavetta, arriva, se bravura e baronie permettono a fare il responsabile di struttura complessa.

Dove può andare una nave che ha tutti ammiragli e neppure un semplice marinaio? A veleggiare in porto.

Dove può andare un esercito con tutti generali e neppure un semplice soldato? A morire sul campo di battaglia.

Dove può andare una sanità pubblica con tutti dirigenti e neppure un semplice medico? Al parlamento.