6 ottobre 2010

Libertà di provetta

Ho letto su vari blog, come quello di Cesco o quello di 31 canzoni dei post sul nobel per la medicina a Ewards per le sue scoperte sulla fecondazione in vitro e le reazioni arrivate dal vaticano sull’assegnazione e vorrei fare anch’io alcune tardive considerazioni.

Intanto mi chiedo perchè dare un nobel oggi per una scoperta fatta all’incirca 40 anni fa; mi verrebbe da rispondere perchè all’epoca eravamo più laici e lo erano, soprattutto, le autorità vaticane, quindi potrebbe essere che i comunisti mangiapreti della Karolinska abbiano voluto mandare un monito al papa dopo che, in Inghilterra, aveva dichiarato: “Il mondo ha bisogno di buoni scienziati, ma una prospettiva scientifica diventa pericolosamente angusta, se ignora la dimensione etica e religiosa della vita”.

E’ come se, scrive Riccardo Giaberce, si volesse dire: Ah sì? Tu criminalizzi la scienza? E allora, tiè! Per tutta risposta noi incoroniamo il più diabolico, il più blasfemo degli scienziati, quello che ha osato manomettere il sacro congegno della vita nascente.

Lasciando perdere gli anatemi scagliati sul nobel ad Edwards, lanciati da una chiesa cattolica sempre più chiusa ed ottusa e che ha, di fatto, scritto quell’ignobile orrore che prende il nome di legge 40 sulla procreazione assistita, vorrei porre l’accento e l’attenzione sulla assoluta ed indiscriminata libertà che da quella scoperta degli anni ’70 si è diffusa.

Non credo che sia il caso di imporre per legge divieti, lacci e lacciuoli che servirebbero soltanto ad alimentare il turismo procreativo ma una sorta di moratoria e di codice deontologico andrebbe creato.

Perchè io, pur essendo d’accordo sulla fecondazione assistita, sulla donazione di sperma e di ovociti, sulla diagnosi pre-impianto ritengo che non sia eticamente corretto permettere un far west riproduttivo fatto di uteri in affitto, di madri oltre la soglia della vecchiaia, di scambio di gameti, di deliri di onnipotenza, di acquisto di gravidanze per interposta persona, di sfide alle leggi della biologia e del fisico delle donne.

Credo che, laicamente, sia il caso di interrogarsi su questi temi senza anatemi, senza condanne morali ma con scienza e coscienza.

12 settembre 2010

Gita fuori porta

Che mister B. desse il meglio si sè nelle missioni internazionali, era cosa nota.

Appena varca la cinta daziaria, forse perchè sprovvisto di Gianni Letta e delle altre badanti che hanno il compito di sedarlo nelle circostanze ad alto rischio, esce al naturale.

Ma l’idea di andare a Mosca per rammentare davanti agli ex comunisti sovietici Putin e Medvedev i finanziamenti occulti dei comunisti sovietici al PCI, ecco, quella non gli era ancora venuta.

Quando poi il nostro ha attaccato la geremiade contro Fini e le toghe rosse, le delegazioni giunte da tutto il mondo han preso a picchiare sugli auricolari della traduzione simultanea, pensando ad un’interferenza in cuffia.

Invece era proprio lui che, tanto per cambiare, badava ai cazzi suoi.

Così la sua collezione di trionfi mondiali s’è arricchita di un altro capitolo memorabile.

Anche perchè negli altri paesi il ricambio della classe politica è così rapido che, a ogni vertice internazionale, c’è sempre qualcuno appena arrivato che non conosce ancora Mr B.

Dunque, si meraviglia.

Ma lui, va detto, è sempre lui.

Il fine diplomatico che salutò l’elezione di Obama dandogli dell’abbronzato e definì clown il presidente Chirac.

L’elegantone che, al G8 di Caceres, si levò le scarpe davanti a tutti e fece le corna alle spalle di un ministro francese.

Il gentiluomo che, inaugurando nel 2003 la presidenza italiana della UE, apostrofò il socialista Shulz: “Girano un film sui lager nazisti, la proporrò per il ruolo di kapò”.

Il poliglotta che salutò i ministri delle finanze a Bruxelles a nome di Ciampi in perfetto inglese: “I give you the salutation of my president oh the Republic”.

Il cosmopolita che, atterrato in Estonia, elogiò le bellezze dell’”Estuania”.

Il vero signore che, ricevendo a Roma il premier danese Rasmussen, si complimentò: “Lei è molto più bello di Cacciari, la presenterò a mia moglie, eh eh…”.

Il latrin lover che si fece conoscere anche in Finlandia: “Per portare a Parma anzichè a Helsinki l’agenzia europea dell’alimentazione ho dovuto rispolverare le mie doti di play boy e fare la corte alla presidente Tarija Halonen”.

La poveretta fu crocifissa dall’opposizione, scandalizzata all’idea che la presidente avesse ceduto un’istituzione all’Italia dopo una storia d’amore con un tipo del genere.

Lei tentò di spiegare il livello di attendibilità del nostro premier agli ignari connazionali.

Lui intanto rimediava alla gaffe peggiorandola: prima ironizzava sulle specialità gastronomiche finlandesi (“mangiano prosciutto di renna affumicata”), provocando l’embargo delle importazioni alimentari italiane in Finlandia; poi mostrava una gigantografia della Halonen a una convention forzista: “Ma davvero pensate che io abbia fatto la corte a una con quella faccia?”.

Poi sistemò anche la Turchia: invitato alle nozze del figlio del presidente Erdogan, tentò di dare una toccatina alla sposa tutta fasciata di veli e, per il rito islamico, assolutamente inavvicinabile.

Subito dopo, in piena tempesta ormonale, fece arrossire il premier tedesco Schroder: “Parliamo di donne: tu te ne intendi, ne hai cambiate tante, eh eh”.

Resta però ineguagliata la performance del Cavaliere di Hardcore allo stabilimento Merloni in Russia, dove nel 2004 tentò di trascinare l’amico Putin in un concorso di bellezza improvvisato fra le operaie della fabbrica, dandogli di gomito: “Voglio baciare la lavoratrice più bella”.

Il cronista del Kommerstan riferì allibito: “Il premier italiano aveva già individuato la sua vittima. Si è avvicinato ad una donna grande come la Sardegna e con tutto il corpo ha fatto il gesto tipico dei teppisti che importunano ragazze negli androni bui. Lei s’è scansata, ma il signor Berlusconi in passato deve aver fatto esperienza con donne anche più rapide: con due salti ha raggiunto la ragazza e ha iniziato spudoratamente a baciarla in faccia. Poi l’ha scossa ridendo, quasi volesse buttarla a terra. L’unica cosa che la donna ha potuto fare è stato rifiutarsi di ricambiare i baci. Putin assisteva alla scena immobile e gelido”.

Poi gli regalò un lettone matrimoniale, formato extralarge.

(Marco Travaglio – da “Il fatto quotidiano”).

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Tutti siamo a conoscenza, più o meno, delle travagliate esperienze estere del nostro presidente del consiglio; ci ricordiamo proprio tutti la performance di Berlu a Strasburgo mentre Fini si metteva le mani nei capelli, disperato e perplesso (e già allora, caro Gianfranco, avresti dovuto ben capire con chi avevi a che fare), ma vederle così, in fila, una dietro all’altra, fanno davvero ancora più impressione e tanta, ma tanta, più rabbia.

11 settembre 2010

Cari americani ci avete tradito

Cari Americani, ve lo voglio dire proprio oggi, 11 settembre, nella giornata di commemorazione mondiale dei vostri morti, quei morti che solo quando sono vostri hanno diritto al cordoglio universale, ci avete tradito.

Avete tradito le speranze di noi europei, che ormai vecchi e stanchi di governare il mondo, vi abbiamo ceduto il trono pensando che voi, giovani, belli, sani e forti avreste fatto meglio di noi.

Che voi, che non avevate le scarpe incrostate dalla polvere della storia, non avreste avuto i nostri odi, le nostre ferocie; avreste lasciato impronte nuove sui nostri pensieri e sui nostri dubbi, avreste governato il mondo con saggezza, con la spensierata umanità della gioventù, con il piacere di stare con gli altri, con la confusione delle razze, voi che di tutte le razze siete composti.

Ci siamo sbagliati.

Abbiamo scoperto che siete peggio di noi, che la sete di potere vi ha reso ancora più feroci di noi, ancora più prepotenti, ancora più despoti di quanto lo siamo stati noi, in tutta la nostra storia.

Almeno noi non abbiamo avuto ipocrisie, non abbiamo invaso, distrutto, ammazzato nel nome della democrazia; noi abbiamo invaso, distrutto, rubato, stuprato e ammazzato nel nome del potere, del governo, della vendetta.

Ci siamo sbagliati, vi abbiamo lasciato il mondo perchè lo rendeste migliori e voi lo avete trattato come un giocattolo da rompere e di cui non sapete più rimontare i pezzi.

Allora è venuto il momento di riprenderci ciò che via abbiamo lasciato, di provare a rimettere insieme i pezzi di ciò che avete distrutto.

Lasciate che vi spieghiamo una cosa, noi che siamo così ricchi così poveri, noi che abbiamo attraversato la storia.

E’ bellissimo anche essere stanchi e tristi, quando si sa piangere insieme a tutti gli altri, non soltanto a quelli che ci sono simili, non soltanto a quelli che consideriamo noi.

Illumineremo le lacrime di tutti, le esibiremo come una corona di cui non avere vergogna perchè solo gli uomini e gli eroi sanno piangere.

La grande ravanata

silvanascricci

Fateci caso, esiste un nuovo contagio da cui, forse, vale la pena correre ai ripari.

Un po’ dappertutto, per strada, in moto, ai tavolini di un bar o di un ristorante è nata, da qualche tempo, una nuova categoria di persone che non stanno evidentemente bene e vengono prese da raptus tremendi.

Basta osservare.

Possono essere chiunque, babbi, nonne, signore, zii.

La malattia già identificata dagli esperti, si chiama: Grande Ravanata.

Funziona così: stai parlando con qualcuno, oppure stai guardando uno che cammina o è seduto accanto a te su una sedia, o è al semaforo su un motorino e vedi che, improvvisamente, costui ha uno scatto, un fremito e comincia a toccarsi.

Addosso, nella camicia, nel petto, nei pantaloni, davanti, dietro.

Lo fa in maniera convulsa, frenetica.

Si tasta il sedere, da una parte, dall’altra; il suo sguardo è sbarrato, il suo panico è evidente, le sue mani si muovono in maniera inconsulta, come in una crisi spastica, infilandosi nelle tasche delle camicie e dei pantaloni.

Intano, in lontananza, se tendi l’orecchio, avverti un motivetto, quasi sempre schiocchissimo, a volte il cocodè di una gallina, altre i topini di Cenerentola, a volte anche solo un brusio, un ronzio intermittente come una scarica elettrica soffocata.

La crisi può durare dai venti ai trenta secondi, ma si racconta di gente alla quale è durata di più ed è stata usata, alla fine, una camicia di forza.

Le mani, che toccano il corpo in quel modo convulso, vanno poi, nella seconda fase della crisi, a frugare dentro borse, indumenti appesi a una sedia, borselli.

E’ un movimento malato, ossessivo, come quello di un ladro che deve fare in fretta per trovare la refurtiva.

Non c’è distinzione tra uomini e donne.

Per la verità le donne si toccano meno freneticamente, il loro è quasi sempre un “ravanare” nella borsa (di qui il nome: grande ravanata) dalla quale proviene un tintinnio di chiavi, di carte; a volte fuoriescono pennelli, batufoli e matrioske di trousse.

Di solito la persona che sta accanto a chi ha la crisi si impressiona a vedere quegli scatti e chiede: “cosa c’è?”; la vittima di solito non risponde, ma prosegue come in trance agonistica il proprio tastarsi e frugare.

Poi alla fine estrae, da qualche parte, il marchingegno fatidico, nella fattispecie un cellulare, preme un tasto in maniera scomposta, avvicina il telefono all’orecchio e quasi sempre un attimo dopo sbotta con esclamazioni classiche tipo: “eh se, buonanotte!”; oppure: “ma vaffanc…”.

Oppure, in lingua indigena: “mo va a fèr dal pugnàtt”. Sentita anche, a commento del fatto che dall’altra parte del telefono non ci fosse pià nessuno, l’esclamazione: “tò surèla”; cioè “tua sorella”, che è un’interiezioni usata già in passato e lanciata a livello internazionale da Materazzi nella finale mondiale 2006.

Un altro sintomo importante di quella crisi spastica è il commento-borbottio vocale che la persona in preda alla crisi spesso pronuncia.

E’ una serie di insulti a terzi, ingiurie pesantissime, nomi, offese: “cat vegna un azidant a te, to mèdar, to pèdar, to nòn…”, eccetera.

Il male è, praticamente, incurabile e ha alcuni risvolti ancora più tristi e tragici tipo quelle persone che, nonostante la soneria si sia messa in azione da cinque minuti, rimangono immobili, attoniti, basiti.

Il motivo è semplice: i figli gliel’avevano precedentemente chiambata e non la riconoscono.

Quindi la ignorano e il loro sguardo è catatonico.

C’è allora il pietoso amico o parente seduto accanto che dice: “oh, guarda che ti sta suonando il telefono!” e lì, allora, c’è lo scatto inconsulto, gli occhi si sbarrano nel terrore, i nervi si mettono in moto e parte, implacabile, la Grande Ravanata.

Gli esperti dicono che dalla grande ravanata non si guarisce; e che può solo peggiorare.

Si parla di calmanti speciali che sarebbero allo studio, ma ancora niente di concreto.

Bzzzzzzzzzzzz. Scusate un attimo…

9 settembre 2010

C'era una volta... e adesso non c'è più

silvanascricci

Una volta sì che sapevano come allevare i bambini.

Non se la stavano a tirare con l’ottimismo, con la positività, con il lieto fine a tutti i costi; così i pargoli già da piccoli sapevano che la vita ha alti e bassi, che i bassi sono, mediamente, più degli alti e che, per quanto ti impicchi, non sempre le cose vanno a finire bene.

Lo insegnavano nel più classico dei modi, esattamente come oggi noi diciamo ai nostri la bella favola che se ti impegni, se sei bravo la meritocrazia ti premierà SEMPRE, cioè con le fiabe.

Oggi, tempo di revisionismo su qualsiasi cosa, abbiamo rivisto anche il finale delle fiabe togliendo ciò che di più autentico vi fosse ossia lche le fiabe presentano materiali e situazioni della psiche inconscia collettiva, senza escludere anche gli aspetti dolorosi e conturbanti della vita semplificando tutto in una divisione banale e irreale del mondo in buoni e cattivi

Ed è proprio su questa loro completezza e autenticità che si basa il loro carattere educativo.

Qui di seguito l’esempio della trasformazione subita da alcune delle fiabe più famose:

IL PIFFERAIO MAGICO – Il pifferaio magico entra in una città è riesce a liberarla da tutti i topi con l’aiuto della sua musica. Quando però gli abitanti si rifiutano di pagarlo, minaccia di fare sparire tutti i bambini. In un primo momento mette in atto il suo piano e raduna i ragazzini in una grotta. Ma quando i cittadini accettano di pagarlo, il pifferaio magico libera i bambini. Nella versione originale al contrario il pifferaio per vendetta annega tutti i bambini.

CAPPUCCETTO ROSSO – Sappiamo tutti che Cappuccetto rosso è liberato da un tagliaboschi che da solo riesce a uccidere il lupo. Ma nella fiaba originale Cappuccetto rosso è mangiato dal lupo a cui nessuno apre la pancia.

LA SIRENETTA – Nel cartone animato Ariel si trasforma in una persona umana e rinuncia alla sua coda per sposare Eric e il loro matrimonio è letteralmente da favola. Ma in realtà nella versione originale Ariel cade in depressione dopo che il Principe si sposa con una bella principessa. Qualcuno le dà un pugnale con cui Ariel intende uccidere il Principe, ma siccome non ha la forza per farlo, disperata si butta in acqua. Si trasforma così in schiuma e muore.

BIANCANEVE – Nella versione moderna la Regina chiede il cuore di Biancaneve, che il cacciatore dovrà consegnarle dopo averla uccisa. Molto più cruenta la fiaba originale in cui la Regina chiede i suoi polmoni e il suo fegato, con il scopo di mangiarseli per cena.

LA BELLA E LA BESTIA – La Bella cade addormentata per cento anni in seguito a una maledizione scagliata su di lei e il principe la risveglia baciandola. Ma nella versione originale la giovane dama è violentata dal re, dà alla luce due bambini e cade in coma per non risvegliarsi più.

HANSEL E GRETEL – Invece di una strega la versione originale rappresenta un diavolo che vuole mangiare i due bambini, dopo averli fatti morire dissanguati.

CENERENTOLA – Nella fiaba più antica, le due sorellastre vogliono ingannare il principe e quindi si tagliano una parte dei piedi. Il principe le scopre e ordina che alcuni piccioni cavino loro gli occhi con il becco.

La caduta degli dei

silvanascricci

Marina, selvaggia bellezza a cavallo di una tecnologica moto d’acqua, ricorda Galatea, la più bella delle Nereidi.

Pier Silvio, un semidio invidiato dagli umani e temuto dagli dei, come Achille, eroe greco.

Poveri eroi, poveri miti che brutta fine, essere così tanto caduti nella polvere da essere assimilati a mortali, seppur non tanto comuni.

Che siano Marina e PierSilvio parenti non v’è dubbio, sarà per questo che “Chi” utilizza proprio queste due figure per sanitificare l’ascesa al cielo, potendo considerare, alla larga, anche Galatea ed Achille parenti essendo, quest’ultimo, figlio della nereide Teti.

Quello, altrettanto certo, è che “Chi” non teme il ridicolo e non teme, neppure, ardire nei confronti.

A me, sinceramente, viene proprio da ridere, e non piangere attenzione, ma proprio da ridere perchè quando si eleva troppo il paragone e quando si è così spudoratamente leccanti si cade nella farsa e nel ridicolo.

Neppure Mussolini, che era Mussolini, ha mai avuto cortigiani così tanto stupidi e, alla fin fine, irriverenti nei suoi confronti.

Sto anche aspettando la terza puntata per sapere a quale figura eroica, storica o mitologica verrà paragonato Silvio in persona, io qualche ideuzza l’avrei ma potete, anche voi, suggerirmi accattivanti e suggestive figure.

Unica cosa chiedo: che mai e poi mai Silvio o qualcuno del suo parentato venga paragonato ad Alessandro Magno, mio amore storico, perchè allora qui m’incazzo di brutto, sul serio e faccio la rivoluzione.

7 settembre 2010

Il senso di Vespa per le tette

silvanascricci

Visualizzate la scena, please.

Velluti rossi della Fenice di Venezia, signore in abito lungo e signori in elegante smoking, l’architettura magica di Venezia che vi attende.

Sul palco si erge una presentatrice, che so la Clerici ad esempio, che invita lo scrittore, bravo e belloccio, a ritirare il premio per la sua meravigliosa opera letteraria e mentre l’emozionato ragazzo sale le scale, la brava presentatrice dice: “Ecco il vincitore e prego la regia di inquadrare la strepitosa patta dei calzoni ed il suo invidiabile pacco”.

Sguardi furtivi tra i convenuti, bisbigli tra le file della platea, rumoreggiare in sala, e forse, financo qualche fischio, verso la presentatrice rea di cotanta volgarità e sfacciataggine.

Ebbene è quello che è successo l’altra sera a Venezia durante la premiazione del Campiello.

Ovviamente a parti invertite.

Vespa che nel presentare l’autrice del libro “Acciaio”, ha introdotto l’autrice, Silvia Avallone, invitando la regia ad inquadrare ed il pubblico ad ammirare lo “splendido decoltè”.

Ovvio che gli occhi di tutti sono andati sul seno dell’autrice, esattamente come sarebbero andati sulla patta del ragazzo del caso di prima.

Vespa è soltanto l’ultimo esempio, l’ultimo esemplare maschio a comportarsi così; è l’ennesima riprova che, non importa il contesto, non importa la bravura, non importa la collocazione dell’evento, le donne sono solo carne da macello, solo pezzi da esposizione, solo parcelizzazioni di essere da fruire e godere.

Ah, naturalmente siamo noi donne che non sappiamo apprezzare un complimento, una galanteria.

Ovvio.